Che grano mangiamo?

Home » Che grano mangiamo?

Fino agli anni ’60 il grano duro di nome “Cappelli era l’unica varietà coltivata nel Mezzogiorno d’Italia, esso rappresentava l’alimento base della dieta della popolazione pugliese ad esempio. Questo grano, sebbene fosse apprezzato per la qualità, era, purtroppo  per noi, poco produttivo.
Così, nel 1974, il Professore Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, (attuale presidente dell’Accademia delle Scienze) con un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una modifica e, in seguito, lo incrociò con una varietà americana. Dopo la mutazione, il povero grano era diventato “nano”, mostrando differenze positive rispetto al cappelli originale, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara ogni tipo di pane, pasta, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci, ecc. (con questa farina si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia).
Il grano Creso presenta un’aumentata quantità di glutine che ne ha migliorato la qualità commerciale e pastificatoria ma ne ha sicuramente apportato un incremento nell’alimentazione umana. Inoltre ha prodotto un’alterazione del pH digestivo con conseguente perdita di flora batterica autoctona, questo nel tempo ha avuto notevoli ricadute sulla salute della popolazione soprattutto per quanto concerne le malattie autoimmuni dalla celiachia all’artrite reumatoide all’ipotiroidismo di hashimoto etc.
Il fatto che il glutine, costituito principalmente da due tipi di proteine, le gliadine e le glutenine, possa causare problemi di salute, posto in termini biochimici, deriva dalla composizione di un particolare frammento proteico in cui gli aminoacidi prolina sono posizionati in modo da impedire l’attività di idrolisi da parte dell’enzima specifico. Detto in un linguaggio molto tecnico, l’apparato digestivo dei mammiferi non ha una capacità infinita di idrolizzare i legami ammidici quando sono adiacenti a residui di prolina creando frammenti indigeriti con attività infiammatoria.
Per questo motivo si cerca di recuperare varietà di grano che contengono quantitativi di glutine inferiori oltre ad altri componenti di grosso interesse nutrizionale. Tali “grani antichi”, quasi estinti a causa di ripetuti e differenti interventi sulle varietà, stanno ritornando in auge e rappresentano la vera perla della nostra alimentazione mediterranea.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *