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I benefici del cioccolato fondente

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Ricco di sostanze benefiche come i flavonoidi, il cioccolato fondente è prezioso per la nostra mente.

Il cioccolato fondente aiuta la memoria e favorisce l’apprendimento. Ricco di sostanze dall’effetto neuroprotettivo come i flavonoidi , questo alimento è prezioso per la nostra mente ed è in grado di migliorare le performance cognitive. È quanto sostiene uno studio condotto dai ricercatori dell’Università dell’Aquila e pubblicato su Frontiers in Nutrition.
I flavonoidi migliorano la cosiddetta “memoria di lavoro” che aiuta ragionamenti, calcoli matematici ma anche l’elaborazione delle informazioni visive. I ricercatori hanno preso in esame precedenti studi sugli effetti dei flavonoidi e ne hanno così riscontrato l’attività positiva rispetto alle funzioni cognitive.
I migliori risultati sono stati evidenziati sugli anziani e sulle donne: queste ultime sembrano ottenere grandi benefici dal cioccolato anche dopo una notte insonne. È stato riscontrato infatti che riescono a svolgere i propri compiti con maggiore lucidità e attenzione nonostante il cervello non abbia avuto il tempo necessario a riposarsi.
Per quanto riguarda gli anziani la revisione della letteratura precedente suggerisce che l’assunzione quotidiana di flavonoidi di cacao, per almeno 5 giorni e fino a 3 mesi, ha portato i maggiori benefici per la funzione cognitiva, migliorando attenzione, velocità di elaborazione, fluidità verbale e memoria di lavoro.
Allora cosa state aspettando? Via libera al cioccolato mi raccomando però, non più di 20g al giorno!

Le cotture poco salutari

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Il metodo di cottura degli alimenti può determinare la formazione di alcune sostanze dannose per la salute a partire da proteine e carboidrati naturalmente presenti nel cibo.
Quando si cuoce a temperature molto elevate, come succede con la cottura alla griglia, alcune proteine e carboidrati e la creatina che è abbondante nella carne, si trasformano in amine eterocicliche (HCA). In particolare le HCA le ritroviamo nelle parti bruciacchiate presenti sulla superficie della carne cotta.
Oltre a queste sostanze, vanno considerati gli idrocarburi aromatici policiclici (PAH) che si sviluppano quando il grasso di cottura raggiunge la brace ardente e si infiamma. I fumi che contengono i PAH penetrano nel cibo. I PAH si ritrovano anche nel fumo di sigaretta e in qualsiasi alimento contenente grassi sottoposto ad affumicatura. Quindi il discorso vale per tutti i cibi proteici e grassi come carne pesce o latticini affumicati. Tutti gli alimenti in grado di sviluppare HCA e PAH sono risultati associati oltre che col cancro, anche col diabete di tipo 2, con l’obesità, e con l’infiammazione e la resistenza insulinica.
In particolare riguardo alla carne, relativamente all’insorgenza del diabete e al consumo di carne, uno studio condotto dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston e pubblicato sulla rivista Diabetes Care che ha preso in esame un gruppo di oltre 59.000 donne, dimostra che consumare spesso carne alla griglia o alla piastra può aumentare il rischio di diabete di tipo 2 rispetto a carne preparata diversamente.
In particolare nelle donne che consumavano 2 o più volte a settimana carne cotta sulla piastra o sul barbecue, il rischio di sviluppare il diabete tipo 2 era il 20-30% più alto rispetto a quelle che la consumavano solo 1 volta al mese.
In conclusione se si consumano occasionalmente alimenti proteici e grassi come una bistecca cotta alla griglia o alla brace non viene aumentato il rischio di diabete di tipo 2, ma se questo metodo di cottura è usato di frequente il rischio aumenta, quindi è consigliabile non solo ridurre il consumo di carne rossa ma usare anche metodi di cottura a basse temperature per tutti i cibi.

Vitamina D

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La maggior parte della vitamina D, dall’80 al 90% del fabbisogno individuale, viene prodotta dall’organismo grazie all’esposizione alla luce solare, questo permette la formazione di un precursore che poi l’organismo trasforma in vitamina attiva.

Alla nostra latitudine sono sufficienti 15 minuti di esposizione tre volte a settimana di volto e braccia. Nonostante questo, le carenze di vitamina D sono molto comuni: il 60-80% della popolazione presenta carenze. Le cause sono molteplici: le creme solari, gli indumenti coprenti, una limitata esposizione al sole, un’abbronzatura intensa e l’invecchiamento sono responsabili di un’inferiore produzione di vitamina D.


Pochissimi cibi contengono vit D (alcuni pesci, funghi,) a meno che non siano fortificati cioè arricchiti, in ogni caso i livelli ematici restano insufficienti se una persona non si espone affatto al sole. In tutti i casi in cui non ci si può esporre al sole oppure i meccanismi endogeni di sintesi di vitamina D risultano rallentati è consigliabile ricorrere a un’integrazione per raggiungere il fabbisogno raccomandato.
Questo rappresenta un aspetto molto importante della prevenzione in quanto la carenza di vit D è associata a diabete, obesità e sindrome metabolica oltre che alla disregolazione del metabolismo del calcio.


La Vitamina D va integrata fin dalla nascita. Ormai è stato stabilito che il latte materno non rappresenta per il bambino una fonte certa di Vitamina D indipendentemente dalla dieta della madre. Quindi, a partire dalla nascita a tutti i bambini e non solo a quelli di madre vegana, che siano allattati al seno o che ricevano latte adattato in quantità inferiore a un litro al giorno, è raccomandata l’integrazione con Vitamina D.

Integrare la vitamina B12

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Gli unici produttori di vitamina B12 sono i batteri. Anche la vitamina B12 contenuta nelle carni degli animali d’allevamento proviene da integrazione dei mangimi.


Una volta la Vitamina B12 era estesamente presente nell’ambiente perché, come già detto, proviene dalla produzione dei batteri, quindi tutto quello che era contaminato, era una fonte potenziale di Vitamina B12, anche le verdure. In realtà noi abbiamo modificato l’ambiente in tutti i sensi e ormai utilizziamo alimenti igienizzati il più possibile, questo, sebbene produca degli indiscutibili vantaggi, sicuramente riduce la disponibilità ambientale di vitamina B12.

Un tempo le famiglie avevano l’animale da latte che veniva sacrificato alla fine del suo ciclo produttivo dopo aver mangiato erba al pascolo per anni e quindi aver fatto accumulo di vit B12 che si ritrovava nelle carni e nei prodotti derivati.


Oggi i mangimi sanitizzati non contengono vit B12 a meno che non vengano dati integratori, ma la vita piuttosto breve dell’animale (in media 2 anni) non consente neppure un accumulo adeguato della vitamina nei tessuti e comunque non paragonabile alla quantità contenuta nelle carni degli animali al pascolo di un tempo. Inoltre l’uso frequente di antibiotici negli animali d’allevamento distrugge anche i batteri che normalmente producono vit B12 nel loro tubo digerente.


Purtroppo chi consuma con la dieta carne e altri cibi animali come il latte, le uova o i formaggi, non è assolutamente immune da questo tipo di problema. Anche se queste persone non avessero problemi di assorbimento, va ricordato che il contenuto di Vitamina B12 nei cibi è estremamente variabile perché dipende sostanzialmente da quanto integratore viene aggiunto al mangime.

Non solo: per assumere adeguati livelli di Vitamina B12 con la dieta, bisognerebbe assumerne tre volte al giorno, in tre pasti distinti, almeno 2 microgrammi a pasto (dati EFSA) e questo è abbastanza difficile.
Senza contare che può esistere in alcuni soggetti un malassorbimento della vitamina contenuta nel cibo, ciò capita spesso oltre i 50 anni, quindi la vitamina, pur essendo presente nel cibo non riesce ad essere liberata ed assorbita, ciò crea uno stato carenziale anche se non necessariamente si arriva allo stadio clinico.

Tutti dovrebbero preoccuparsi di fare un dosaggio della vitamina B12 nel sangue ed eventualmente considerare un’integrazione nel caso in cui i livelli fossero inferiori a quelli ottimali che corrispondono a 450 ng/litro.
Gli stadi di carenza avvengono almeno in 4 steps che durano anni, durante i quali è possibile fare diagnosi e bloccare il fenomeno reintegrando senza giungere alle manifestazioni cliniche della carenza caratteristiche dell’ultimo stadio che sono a carico del sangue e del sistema nervoso e potrebbero essere irreversibili. Prima di arrivare a questo stadio ci sono anni in cui si può intervenire affinché non si sviluppi la carenza clinica.

Le dosi da assumere (in modo regolare e continuativo) in una situazione normale, non di carenza, sono:
3 assunzioni da 2 mcg al giorno oppure 1 assunzione da 50 mcg al giorno oppure 2 assunzioni settimanali da 1000 mcg. In caso di carenza occorrerà invece assumere, solo per qualche mese, una dose giornaliera da 1000 mcg, dietro indicazione di un professionista della nutrizione competente. Sia l’EFSA [1] che l’Istituto di Medicina USA (IOM) [2] affermano che non ci sono rischi conseguenti all’assunzione di dosi elevate di vitamina B12.
Non c’è nessun pericolo per i vegetariani (vegani o latto-ovo) e onnivori che seguono queste indicazioni, mentre invece è pericoloso arrivare a uno stato di carenza clinica per chi non le segue. L’unica attenzione va posta verso chi ha un’anamnesi di malattia oncologica pregressa, che dovrà preferire l’assunzione 3 volte al giorno di 2 mcg di vitamina alle alternative più dilazionate nel tempo o alle dosi massive.

1- EFSA Dietary Reference Values for cobalamin (vitamin B12). EFSA Journal 2015;13(7):4150 10.
2- Office of Dietary Supplements—Dietary Supplement Fact Sheet: Vitamin B12.
Available online: https://ods.od.nih.gov/factsheets/VitaminB12-HealthProfessional/

8) Eliminare l’olio a crudo

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Per i condimenti a crudo non bisogna lesinare troppo sull’olio se di buona qualità (extravergine d’oliva o di semi di lino per i vegetariani), infatti le membrane delle nostre cellule sono fatte di grassi, quindi è bene utilizzare la giusta quantità di grassi buoni che ne garantiscano il corretto funzionamento. E’ necessario invece fare attenzione alla quantità e alla qualità dell’olio che viene utilizzato per cuocere i cibi. Non ci si rende conto, purtroppo, di quanto olio si utilizzi quotidianamente, soprattutto in cottura. È sufficiente limitare le quantità dei cibi cotti contenenti olio per perdere automaticamente qualche chilo. Per questo bisogna stare attenti ai prodotti confezionati e persino al pane che si consuma, evitando quelli ricchi di oli o altri grassi, considerando che la cottura in molti casi ne peggiora la qualità.

7) Consumare yogurt magro

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Scegliere di consumare yogurt magro (yogurt con lo 0,1% di grassi) non è una soluzione efficace per chi desidera perdere peso. Infatti, è abbastanza diffusa la pratica industriale di compensare la riduzione dei grassi con l’aumento degli zuccheri semplici (anche del doppiorispetto ad uno yogurt naturale non dolcificato). Scegliamo piuttosto uno yogurt vaccino o vegetale bianco e senza zuccheri aggiunti, a cui si può eventualmente aggiungere della frutta fresca e di stagione o dei fiocchi di cereali integrali o dei semi oleosi macinati.

6) La pasta a cena

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In realtà la pasta, soprattutto se integrale e nelle quantità adeguate, non determina accumulo di grassi. Quello che senza dubbio andrebbero eliminati sono gli alimenti con cui la si condisce, specie quelli di origine animale: panna, burro, ragù, sughi pronti, formaggio, ecc. La pasta, soprattutto se integrale e condita con abbondanti verdure e spezie e un filo di olio extra vergine di oliva a crudo è molto digeribile e non fa ingrassare.

5) Usare lo zucchero di canna

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Molti pensano che lo zucchero di canna sia meno calorico dello zucchero bianco. Niente di più sbagliato! Entrambi, infatti, forniscono lo stesso apporto energetico (4 Kcal per grammo). Lo zucchero di canna è sicuramente meno dannoso di quello bianco, ma anche in questo caso è utile usare quello di canna grezzo che conserva maggiormente le proprietà della pianta da cui viene ricavato. La cosa più utile è comunque ridurre complessivamente l’uso di zucchero.

4) Eliminare tutti i carboidrati

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Si tratta di una convinzione parzialmente vera che porta le persone ad eliminare anche i cereali integrali. I cibi ricchi di carboidrati complessi e integrali (tutti quelli che si trovano in cereali, legumi e verdura non lavorati) apportano nutrienti e fibra che aiuta il transito intestinale e ostacola o ritarda l’assorbimento di grassie zuccheri. Inoltre contengono dei fitocomposti protettivi neiconfronti di svariati meccanismi metabolici che aiutano il corretto funzionamento dell’organismo tenendo lontana l’infiammazione e l’ossidazione a livello cellulare. Può risultare utile invece eliminare i carboidrati raffinati che sono effettivamente privati di fibre e composti benefici durante i processi di lavorazione e apportano calorie vuote legate principalmente all’amido rapidamente digeribile. Mangiare invece cibi vegetali ricchi di carboidrati complessi e di fibra aiuta a raggiungere il senso di sazietà con meno calorie e quindi dimagrire senza soffrire la fame.

3) Bere succhi di frutta e bibite zuccherate

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La migliore bevanda in assoluto è l’acqua: non contiene calorie, aiuta nell’eliminazione delle sostanze di rifiuto tramite sudorazione e urina, aiuta lo sviluppo muscolare, mantiene umide le superfici di naso, occhi e orecchie. Sostituire l’acqua con altri liquidi (succhi di frutta conservati, alcolici, bibite zuccherate, ecc) è un errore, soprattutto per chi vuole perdere qualche chilo. Queste sono bevande non essenziali per il nostro benessere, spesso caloriche e assolutamente prive di nutrienti benefici. La loro assunzione a digiuno favorisce il “picco glicemico”. Persino i succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, a causa dell’assenza di fibra, determinano una maggiore concentrazione degli zuccheri rispetto ai frutti da cui provengono favorendone un rapido assorbimento con conseguente “picco glicemico”.